Frà Diavolo….brigante e amante

Nel pensiero meridiano brigante non è bandito. Non lo è stato mai, malgrado la retorica storiografica abbia voluto condannare senz’appello coloro che con coraggio e coerenza lottarono per la causa dei Borboni contro gli invasori, francesi prima e piemontesi poi.

Brigante è patriota, quindi è Forse. Per molti aspetti brigante è rivoluzionario o, se volete, rivoltoso Ma vero, autentico, anche se lo storico si ostina a non riconoscerlo tale. Ma la storia, si sa, la scrive chi vince! Brigante è briccone, con tutta la carica di simpatia che questo termine contiene. Un po’ coraggioso, un po’ sbruffone. Donnaiolo per vocazione e forse anche per costrizione.

Nel corso delle sue scorribande egli cerca di conquistare bottini, magari da sottrarre ai ricchi e ai potenti per spartirli ai poveri e ai derelitti. Ma allo stesso tempo egli non disdegna di concupire donne, facili prede che spesso oppongono una resistenza per niente definibile stoica. Del resto la furtività e la complicità  sono da sempre il sale della sensualità

Condividere la latitanza brigantesca per qualche ora o per qualche giorno, in una grotta o in un “casariello” di montagna non poteva non rappresentare un magico richiamo, quasi un atto di eroismo amoroso, sia per povere contadine che per ricche nobildonne, in cerca di avventure clandestine, inusitate

Nel variegato mondo dei brigantaggio meridionale in genere e di quello campano in particolare, spicca la figura di Michele Pezza, al secolo “fra’ Diavolo”. Le oleografie patriottarde lo descrivono come un volgare e crudele delinquente, mentre per i romantici è il ribelle “dal cuore d’oro e dallo sguardo fiero”.

Il giovane Michele di Itri in principio era un mite, quello che si definisce un “bravo ragazzo”, che andava a bottega per apprendere il mestiere di bastaio Mastro Eleuterio, uomo burbero e manesco, un bel giorno gli mollò senza un serio motivo un ceffone solenne, tanto da costringere il giovane garzone a reagire infilzandolo. Inizia così la carriera dei brigante diabolico.

L’arrivo dei francesi a Napoli è una buona occasione per uscire dalla latitanza e arruolarsi nell’esercito borbonico. Michele Pezza viene presto nominato colonnello sul campo e alla testa di tremila uomini lotta al servizio di Re Ferdinando e della Regina Carolina. Aiuta il Cardinale Ruffo a riconquistare il Regno di Napoli e diventa il più fiero nemico dei francesi che sconfigge ripetutamente in numerose imboscate, tanto da guadagnarsi l’appellativo, di “fra’ Diavolo”.

La sua fama nefasta arriva presto a Parigi e nel 1806. Napoleone è costretto ad intervenire prima con una lettera piena di improperi indirizzato al fratello Giuseppe, nominato nel frattempo Re di Napoli e poi con un preciso incarico al colonnello Joseph Hugo – padre dei grande Victor – di farla finita con l’inafferrabile ribaldo.

La sorte di fra’ Diavolo a questo punto è segnata, Per sfuggire alla caccia spietata ricorre all’ennesimo stratagemma: divide i suoi uomini in dodici gruppi, mette a capo di ciascuno di essi, travestito, un fra’ Diavolo e li sparpaglia sulle montagne. li diabolico brigante viene così segnalato ovunque: dai monti dei Sannio a quelli dell’Irpinia, dagli Alburni ai Lattari. I Francesi appaiono ancora una volta disorientati.

Fra’ Diavolo tenta di imbarcarsi a Torre Annunziata per raggiungere la corte borbonica a Palermo, ma non vi riesce. Sale al Castello di Lettere e poi ad Agerola. Trova rifugio a Furore presso una delle sue favorite, che lo tiene premurosamente nascosto nella sua casa – alcova a Li Summonti. Dopo alcuni mesi di dolce vita riguadagna la montagna. Resta “braccato come un cinghiale” per alcune settimane nei boschi della Chiancolella di Tramonti, aiutato e rifocillato dai pastori. Da quelle alture può ben controllare le mosse degli inseguitori, che sostano nell’Agro-Nocerino e battono la costa da Positano a Salerno Spiazza così i Francesi e giunge, attraverso i boschi di Cava de’ Tirreni a Salerno e quindi a Eboli Qui lo raggiunge con la sua cianciola un giovane marinaio di Positano Ma l’ennesimo tentativo di salpare per la Sicilia fallisce e fra’ Diavolo viene catturato con il suo fido amico Vito nelle campagne di Olevano sul Tusciano.

Rinchiuso nel castello di Arechi a Salerno, viene poi condotto a Napoli. I francesi, che in cuor loro lo avevano sempre ammirato, tentano di convincerlo ad arruolarsi nella loro armata con il grado di colonnello della Gendarmeria. Ma il fiero ribelle, restando coerente e fedele a se stesso, oppone un secco rifiuto. Dopo un regolare processo fra’ Diavolo il 12 Novembre 1806 finisce sulla forca a Piazza Mercato, teatro ricorrente di storiche esecuzioni capitali.

Furono tante le lacrime versate più o meno segretamente da quanti, “cafoni” o galantuomini, avevano conosciuto questo mitico “scorridore di campagna”. Ma a piangerlo e a rimpiangerlo furono soprattutto le donne che ne avevano potuto apprezzare le grandi virtù di “amatore di montagna”.

Diavolo di un inafferrabile brigante o diavolo di un irresistibile amante

Ultimo aggiornamento

11 Febbraio 2021, 17:47